Ci risiamo. Al grido di “pagare meno, pagare tutti … basta che paghiate“, il governo del bellimbusto fiorentino Renzie torna alla carica su una delle tasse più odiate, e oggettivamente meno utili, nell’ampio panorama dei balzelli italici. Il canone Rai. Ovviamente nessuno, nei palazzi di governo, si è chiesto se sia opportuno o meno continuare a vessare la popolazione con una tassa di stato a favore di un’azienda che agisce di fatto sul mercato privato in concorrenza con competitor terzi, manco a dirlo, privati. L’unica domanda a cui dare una risposta è stata solo : come infiliamo un’altra supposta in culo al già oberato cittadino affinchè possiamo tenere in piedi un baraccone che accoglie clientele ed impone la legge del nepotismo ? Come possiamo fare per tenere in vita una televisione di stato che dispone di ben 16 canali (ma scusate serve un canale di stato come Rai Yoyo per trasmettere Peppa Pig ?) attraverso i quali passa di tutto tranne che una reale informazione “neutra” e “oggettiva” ? Come possiamo fare per tenere in piedi il sistema di lottizzazione dei canali per trasmettere la propaganda dei vari partiti ?
Continue reading “Il canòne che morde” »
Ieri sera, Lunedì 03.02.2014, ho assistito alla trasmissione Presa Diretta sulla nuova degenerazione della finanza bancaria. Il titolo, nemmeno a farlo apposta, era “BancaRotta”.
Per chi fosse interessato l’intera puntata è visibile sul sito Rai.
Volutamente non entro nel merito della discussione, altamente tecnica, sulla riemersione della pessima abitudine al derivato, al totale scollamento tra valori di mercato e valori economici, alla perversa concezione del too-big-to-fail. Tutti argomenti ampiamente trattati con dovizia di particolari ed in modo, a mio avviso, impeccabile.
Quello che, sempre a mio avviso, è stato trascurato è il malato rapporto funzionale tra Stati sovrani e Banche. Queste ultime, istituti di diritto privato, sono, alla luce delle nuove norme contro l’evasione fiscale, diventate di fatto una estensione dello Stato (specialmente quello italiano) che, per il loro tramite, impone una lente di ingrandimento sulle sostanze dei cittadini, del loro modo di spendere e di gestire il proprio denaro. Una imposizione anche, secondo me, volta ad obbligare i cittadini a mantenere quanta più liquidità possibile nelle casse delle Banche che, come ringraziamento utilizzano le risorse della raccolta allo scopo di acquistare Titoli di Stato. E’ un circolo vizioso nel quale il cittadino viene comunque spremuto per tenere in piedi un assurdo carrozzone di carte e di sprechi, viene vessato da imposizioni continue e, come è inevitabile, verrà chiamato a sostenere con le proprie tasse il risanamento di Istituti di Credito che sperperano denaro pubblico senza ritegno. Lo Stato senza Banche non può esistere.
03 Ott
Posted by: Andrea Lanfranchi in: Senza categoria
Avrei voluto dedicarmi, con maggiore serenità, alla stesura di un qualche articolo legato a ciò di cui mi occupo quotidianamente, dedicato al mio lavoro, ma non ce la faccio … non è possibile.
La goccia che fa traboccare un vaso, già troppo pieno di amarezze e di frustrazioni nei confronti di una nazione, l’Italia, i cui “dirigenti” – la cosiddetta classe politica – stanno perdendo (o hanno ormai già irrimediabilmente perso) i più basici valori del rispetto della cosa pubblica, dell’interesse pubblico, dell’onestà e dell’integrità morale … la goccia dicevo è stata questa : il presidente dell’Aler di Lecco buca le gomme all’auto di un disabile perchè costretto a spostare la sua da un parcheggio riservato agli invalidi.
Forse ancora più di mille ruberie, di elargizioni di denaro solo per raccogliere consenso e clientele, di un senso dello “stato” ormai perduto … è in questo esempio che possiamo trovare il distillato della vera distanza tra politico/amministratore ed il cittadino/suddito: l’assoluta mancanza del rispetto delle regole. Quelle stesse regole che, in teoria, gli stessi amministratori avrebbero contribuito a stilare ma che per un senso di superiorità considerano non applicabili alla loro persona, al loro status. La pietosa intervista telefonica ad Antonio Piazza, il pessimo protagonista di questa infima storia, è disarmante: in un italiano approssimativo, a tratti incomprensibile, sinonimo molto probabilmente di una cultura generale svilupattasi fino alla 5° elementare e non oltre, chiede “scusa” per quanto fatto e pretende rispetto per la sua privacy e la riservatezza della sua famiglia.
Mi dispiace caro Piazza ma non funziona così: Lei, come molti suoi colleghi, è salito ad una carica di pubblico amministratore, in virtù di quali meriti non è dato sapere (anche se è facile immaginare, data la contingenza, quali delicate alchimie di scambio siano alla base della sua nomina), e per questo motivo dovrebbe rispondere del suo operato con una trasparenza, un’umiltà ed un senso di integrità proporzionato ai privilegi che dal suo incarico derivano. Perchè nella sua posizione Ella godrà senz’altro di trattamenti economici ben superiori a quelli di un ingegnere altamente specializzato di settimo livello in un’azienda, Ella godrà della deferenza e dell’accondiscendenza di molti cittadini che vorranno “ingraziarsela”: e proprio in virtù di questo Ella è moralmente tenuto, prima ancora che dal banale e ovvio rispetto delle leggi, ad essere primo tra i cittadini, un modello da seguire e non certo un esempio da biasimare come invece, improvvidamente, ha scelto di essere.
Lei è l’esempio di tutto quello di marcio, puzzolente, vecchio, arrogante, protervo e disonesto che c’è in questa classe dirigente che non vuole cambiare, che lotta disperatamente attaccata ai propri scranni perchè nulla cambi e poter continuare, indisturbata, a farsi i propri fottuti comodi. Il Suo gesto le apparirà forse misero di fronte alle ben peggiori malefatte che finalmente vengono alla luce nelle cronache di questi giorni, ma la sua difesa basata sul “c’è chi fa cose peggiori di me ed è ancora al suo posto” è insussistente, priva di qualsiasi giustificazione e ragione d’essere. Come se il vecchio adagio “Mal comune mezzo gaudio” fosse una storiella per giustificare che le cose stanno così e, facendo spallucce, ci si rassegnasse ad uno stato delle cose immutabile. Ma impari, Lei come il fior-fiore degli esemplari che ammorbano le pagine dei quotidiane in questi giorni, a rendersi conto che il “Mal comune” è solo il nostro danno mentre il “mezzo gaudio” è solo per voi che continuate a nascondervi dietro le balle più asssurde. Impari, Lei come tutti gli altri, che da questi apparentemente piccoli ed insignificanti episodi (ma di una odiosità tragica), germoglia la mala-pianta del “io sono al di sopra”, “io sono diverso” che è il fusto su cui si appoggiano poi, in drammatica escalation, gli allegri prelievi di denaro pubblico per festini goliardici, per le vacanze sopra le righe, per sregolate e incontrollate regalie ad amici e, non ultimo, il nepotismo più sfrenato.
Parte tutto da qui: da quella ingiustificata e auto-costruita percezione di appartenere ad un mondo che si eleva al di sopra di quello popolato dal cittadino comune, dalla superba considerazione che qualsiasi azione, proprio perchè non penalmente rilevante (dio quante volte ho sentito questa tiritera), non possa essere e non debba essere giudicata nemmeno lontanamente sotto il profilo morale, dalla certezza che in ogni modo si troverà la scappatoia per farla franca e per non dover rendere conto.
Ed allora assistiamo a meschine ed inascoltabili giustificazioni: ci sorbiamo Fiorito che, tronfio, va in televisione a sbuffare il suo senso di fastidio per quanto gli capita e protesta la sua innocenza; assistiamo (ieri 3 ottobre 2012) al battibecco tra il Presidente della Camera ed il Presidente della Regione Lombardia che come due scolaretti che si fanno i dispetti si battono le mani in senso sarcastico e quasi si tappano le orecchie urlando “la-la-la-la-non-ti-sento-gne-gne”; già prostrati da tasse assurde guardiamo allibiti all’esattore che si è ciulato 100 milioni di euro; increduli apprendiamo che milioni e milioni di euro dei bilanci regionali e provinciali non sono soggetti ad alcun controllo e sono poste disponibili per i singoli solo in virtù di una richiesta (il più delle volte immotivata).
E in tutto questo le nostre energie, quelle dei cittadini, già provati da un crisi economica che ha visto evaporare risparmi, che vede la perdita di posti di lavoro, che vede scemare le opportunità per chi vuol fare impresa, vengono dirottate, persa ogni speranza, in un canale di odio e risentimento nei confronti di una Casta, la vostra Casta, che vorremmo vedere cancellata dalla faccia della terra. Anche di questo siete colpevoli: di averci tolto la voglia di lottare, di essere migliori, di indirizzare le nostre forze residue verso un ideale di riscatto.
Ci avete rubato anche questo.
E a nulla vale il distinguo che da destra a sinistra tenta di alzarsi : non facciamo di tutte le erbe un fascio. Perchè se è pur vero che c’è, come in tutte le cose, chi svolge la propria vocazione con passione e disinteresse, è pur vero che costoro sono comunque parte del medesimo sistema, e se non collusi con esso quantomeno passivi spettatori di un degrado ormai intollerabile. Non basta dire “io non ho mai fatto così” per affrancarsi da un mondo, quello della politica, che sta rapidamente calando nelle melme più fetenti: o si reagisce, denunciando ad alta voce, puntando i piedi, presentando dimissioni, rifiutando ingiustificate elargizioni, facendo presidi … insomma con tutto quello che umanamente è possibile per ricostruire e ricostruirsi un’immagine di rispettabilità … oppure, come spesso accade, si tace: e in questa seconda fattispecie che nessuno si lamenti di veder lesa la propria onorabilità per colpa “dei pochi” (che pochi non sono).