21 Lug 2007
Inserito da: Andrea Lanfranchi in: Senza categoria
In questi giorni i fervori della politica italiana alzano gli scudi contro l’ordinanza presentata in Parlamento dal giudice Clementina Forleo la quale – meno male – chiede di poter utilizzare le intercettazioni telefoniche, relative alle scalata di Unipol su BNL, nei procedimenti penali.
Scudi alzati, dicevo, perchè tra gli intercettati vi sono esponenti di primissimo piano del nostro palcoscenico politico. Inutile dire che i toni – giudicati da requisitoria – del giudice, non avrebbero avuto la forza di smuovere nemmeno un sassolino se l’intera vicenda coinvolgesse solo comuni cittadini.
Invece, da apparato autoreferente quale è, l’intero nostro arco parlamentare (con ovvio maggiore impegno dei diretti interessati) giudica l’azione della Forleo quale indebita ingerenza nella vita politica italiana, una sorta di supplenza giudiziale con la quale si vorrebbe far sparire una parte importante dell’entourage dirigenziale del nostro governo.
E’ quantomeno singolare che le difese arrivino proprio da quella parte politica che non ha mai smesso di sostenere la validità, la cristallina trasparenza e la inequivocabile correttezza dell’operato della magistratura durante l’intera legislatura precedente. Tuttavia questa non vuole essere una difesa della destra (o centro-destra o come diamine si chiama): non ce ne è bisogno e sarebbe quanto meno inopportuno.
Il problema che vedo e che sempre più mi disgusta è l’eclatante utilizzo di due pesi e due misure nel giudicare l’operato dell’apparato di giustiza: se non ci riguarda o se riguarda l’avversario è tutto corretto, se ci riguarda direttamente allora si tratta di atti indebiti e di accanimento politico. Tutto questo è di uno squallore devastante: non uno dei politici coinvolti ha avuto il buon gusto – quantomeno – se non la correttezza di stare zitto dando seguito alla sempre tanto declamata fiducia nel corso della giustizia. Almeno questo, credo, è dovuto in primis ai cittadini tutti e poi al proprio elettorato di riferimento.
Non mi sognerei nemmeno di chiedere pubbliche ammissioni e scuse da parte degli interessati dal momento che ciò andrebbe direttamente contro al sacrosanto diritto alla difesa garantito ad ogni cittadino, ma almeno un po’ di sane “orecchie basse” potrebbero dare un minimo di credibilità in più ad una dirigenza di stato che ormai ne è quasi completamente priva. Mi nausea la sola idea che si vogliano attribuire valori sarcastici a battute telefoniche (regolarmente intercettate) con gli attori delle vicende in questione (e poi perchè si telefonavano ? perchè si tenevano informati l’un l’altro ?) perchè la cosa che non riesce ad entrare nella zucca di questi nostri politicucci da 4 soldi (ormai i politicucci del quartierino) è che la loro immagine è la rappresentanza di tutti gli italiani che li hanno eletti, non la loro.
Accettare di essere attori, di primo piano, della vita politica italiana (anzi sarebbe meglio dire ambire, dato che i privilegi garantiti a costoro non configurano certo una scelta di sacrificio) significa mettere se stessi sotto una lente di ingrandimento, sotto osservazione continua da parte della pubblica opinione e, non dimentichiamolo, degli organi che controllano l’osservanza delle leggi in tema di amministrazione della res-publica.
Ed è ancora più scandaloso il fatto che, in assenza di valide motivazioni e giustificazioni che potrebbero rendere quantomeno plausibili (definirli leciti sarebbe troppo) gli atti contestati, si vogliano attribuire al GUP Forleo motivazioni di attacco che nulla hanno a che vedere con le questioni legali in corso di accertamento. Se il giudice non avesse utilizzato quelle espressioni nella documentazione presentata, non avrebbe avuto motivo di presentare alcunchè restando pacifico il fatto che in assenza di fatti penalmente rilevanti il giudice non avrebbe richiesto nessuna autorizzazione a procedere.
Mi rivolgo a Lei, giudice Forleo, formulandole tutti i migliori auguri per un sereno e tenace perseguimento della verità dei fatti: che almeno questa sia un’occasione per certificare la correttezza della nostra politica o, verosimilmente, per farci aprire gli occhi e mandare finalmente questa masnada di parolai … a casa.